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NON LASCIARMI - Kazuo Ishiguro

Never Let Me Go è il sesto romanzo di Kazuo Ishiguro, e ad oggi è la sua opera più popolare. Come per Ciò che Resta del Giorno, ne è stata tratta una versione cinematografica. L’Io narrante di Ishiguro si annuncia nelle prime righe del romanzo:


My name is Kathy H. I'm thirty-one years old, and I've been a carer now for over eleven years. That sounds long enough, I know, but actually they want me to go on for another eight months, until the end of this year."


Il "now" e l’ "actually", l’apparente ordinarietà, la vaghezza del "they" e la precisione di quegli "otto mesi, fino alla fine di quest'anno”.


Kathy è una "assistente" in vari centri di riabilitazione per “donatori”; per questo è decisa a rimemorare la sua vita, prima di quello che, si intuisce, sarà un passaggio definitivo, ultimativo. Dapprima non si sa con precisione quale sia la mansione di un “assistente”, chi siano i “donatori” e che cosa donino; tuttavia la scoperta si fa strada ben presto, non senza crescente riluttanza, nella mente di chi legge: tutto è ovattato, ma terribile; i destini dei protagonisti sono predeterminati e immodificabili.

Kathy consegna il racconto della sua infanzia e della sua giovinezza a ignoti ascoltatori


“Ci sono stati periodi nella mia vita in cui ho cercato di lasciarmi alle spalle Hailsham, quando mi sono detta che non dovevo più voltarmi indietro. Ma a un certo punto smisi di opporre resistenza. Avvenne con un donatore in particolare, durante il mio terzo anno come assistente; fu la sua reazione quando gli dissi che venivo da Hailsham. […] Il fatto è che non soltanto voleva sentir parlare di Hailsham, voleva ricordare Hailsham, come se si trattasse della sua infanzia. […] Fu quello il momento in cui compresi per la prima volta, fino in fondo, quanto eravamo stati fortunati – Tommy, Ruth, io, tutti noi “


Del resto i bambini che vengono cresciuti, educati, istruiti ad Hailsham sono persone speciali: privi di una famiglia d’origine, sanno che non potranno averne una loro. Il loro destino non viene taciuto nel corso degli anni più teneri, ma si profila con progressiva chiarezza durante l’adolescenza:


"A ripensarci, mi rendo conto che stavamo vivendo proprio quell’età in cui cominciavamo ad acquisire una certa consapevolezza – su chi eravamo, su quanto fossimo diverse dai nostri tutori, dalla gente del mondo fuori – ma non avevamo ancora capito cosa significasse veramente. […] Perché non importa quanto i tutori facessero del loro meglio per cercare di prepararci: tutti gli incontri, i video, i dibattiti, gli avvertimenti, nessuna di queste cose può farti comprendere fino in fondo. Non quando si ha otto anni, e si sta tutti insieme in un posto come Hailsham […]. Ma in qualche modo, qualcosa deve essere entrato dentro di te."


Insomma, i ragazzi che popolano Hailsham non hanno passato e non hanno futuro perché sono cloni destinati all’espianto di organi: duplicati da umani sani, devono avere la massima cura del loro organismo per poter diventare donatori e portare così a compimento “il loro ciclo”, un ciclo di vita necessariamente breve, nel corso del quale potranno donare più organi.

Il titolo del romanzo riprende quello della canzone preferita di Kathy, Never let me go di Judy Bridgewater e accompagna un passaggio chiave del romanzo in cui una delle tutrici, ormai anziana e malata, rievoca il momento in cui, anni prima, si era accorta dell’insensatezza di quel mondo «più scientifico, più efficiente, certo. […] E tuttavia un mondo duro, crudele»


Da questo racconto Never Let Me Go appare un'opera macabra e di gratuita sordidezza. Potremmo quantomeno chiederci di che genere letterario stiamo parlando. Non è fantascienza – perché ciò che accade è, tecnicamente e scientificamente parlando, verosimile. Ci si può però chiedere – alzi la mano chi ha la risposta – se la narrazione è ucronica o distopica. In questo senso non siamo molto lontani da “La peste” di Camus, in cui una realtà distopica ma familiare drammatizza i dilemmi dell'epoca. Ma i dilemmi della nostra epoca non sono – o almeno non ancora - quelli di Ishiguro: la scienza vanagloriosa, che si intromette nella struttura morale della vita, è ancora una specie di fantasma di serie B non ancora di proprietà intellettuale dell’umanità del XXI secolo, impegnata a debellare virus e pandemie.



In ogni caso, la base "scientifica" del romanzo è piuttosto vaga: è il mondo emotivo dei cloni stessi che interessa a Ishiguro. Bambini senza genitori, bambini a cui manca lo spessore psicologico dell'infanzia che Ishiguro ha così faticosamente articolato altri suoi lavori. Ciò che emerge da “Non lasciarmi” è che un figlio senza genitori non ha difesa contro la sofferenza, la crudeltà, la negazione etica e la morte; il suo corpo non è sacro, perché è il genitore stesso a rappresentare, idealmente, una specie di dio, che santifica e redime il figlio: come in “The Road” di Cormac McCarthy, le orribili fantasie del romanzo conducono quasi a un sentimentalismo perverso. Il genitore immagina le cose raccapriccianti che potrebbero accadere al proprio figlio se lui, il genitore-dio, non fosse lì a proteggerlo. Il romanziere crea una "realtà", con componenti macabre inesorabilmente elaborate.


Never Let Me Go, come i cloni che ritrae, ha una sorta di doppia natura, perché attrae e insieme turba. O forse è un libro che richiede due lettori, un lettore cieco davanti all’orrore, e un lettore capace di sondare delicatamente le proprie conflittualità. Per coloro i quali percepiscono quest'ultimo, il cupo orrore del romanzo lascerà una ferita nella mente, e un cappio al cuore.




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